La caduta del Muro di…. dell’Avana.

di Massimo Campo

 Per qualche perversa ragione oltre che alla dittatura dei fratelli Castro mi interesso da anni a quella socialista della ex DDR. Pure nella diversità delle vicende storiche, che hanno condotto i due paesi in mano ad un regime ispirato da simili teorie economiche e sociali, Cuba e l’ex DDR hanno molto in comune.

Ambedue hanno tentato di razionalizzare la propria produzione industriale, quella culturale e la politica all’interno di un universo parallelo di stampo anticapitalistico. Hanno tentato di costruire un “Uomo Nuovo” privo delle tendenze al consumo fine a se stesso ed al piacere filosofico (e carnale) che questo in genere rappresenta. Hanno tentato di depauperare, la logica antica quanto l’uomo, della proprietà privata da qualsiasi valore sociale, famigliare, comunitario. Hanno inteso l’individuo non nella sua singolarità ma nella sua funzione di micromeccanismo del macro. La società socialista, appunto. Ambedue hanno quindi privato questi micromeccanismi (parliamo dei cubani e dei tedeschi dell’est) del diritto di libera espressione, di riunione, di associazione politica e multipartitica utilizzando gli unici strumenti adatti a tale scopo, la repressione e la polizia politica.

La Stasi e la Seguridad de Estado hanno utilizzato negli anni metodologie diverse.

Gli straordinari ingegneri tedeschi hanno posto sotto controllo centinaia di migliaia di appartamenti e individui e famiglie grazie ai loro microfoni-spia. i meno valenti tecnici cubani hanno preferito la pura delazione in cambio di privilegi e cibo. I risultati sono stati i medesimi naturalmente, il controllo totale delle opinioni e della educazione di un intero popolo.

Il carcere per la dissidenza, se non scelte peggiori, e per chi non si omologava al regime corrente erano il premio al lavoro di questi valenti uomini di regime, che hanno fatto del terrore il loro ufficio quotidiano.

 

Ma i razionali tedeschi hanno capito ben presto che qualcosa non andava.

Che le loro fabbriche non erano competitive, malgrado il supporto ingegneristico di altissimo livello che potevano vantare. Che i loro prodotti erano scadenti, che la qualità della vita era imparagonabile al confronto di quella dei vicini fratelli tedeschi. Che il sistema del socialismo puro mostrava la propria debolezza. Da qui il Muro di Berlino. Per difendere il popolo dall’attacco fascista. Era questa la motivazione.

Cuba ha risparmiato in mattoni e filo spinato. Ci pensano mare e squali a difendere il popolo dall’attacco capitalista.  

Ora, nel pieno fallimento del sistema-Castro, uno spettro si aggira sulla bella isola caraibica: La Riforma. Il regime sta cercando di sopravvivere. Lo fa spacciando illusioni. Spacciando speranze. L’unica riforma possibile è la Democrazia. L’unica novità la Libertà.

Tutto il resto sono bugie.

Ed anche quando si afferma che mezzo secolo (mio Dio) di regime non si può cancellare in un momento… io penso che tutto si può. Il Muro di Berlino è caduto così. Spazzato via da una domanda.

 

 Il 9 Novembre 1989 la notizia venne battuta alle 19.31 dall’Ansa, che per prima lanciò in rete il crollo delle frontiere. A chiedere a Gunter Schabowski, ministro della Propaganda e Membro del Politburo, se era corretto l’annuncio della prossima liberalizzazione dei viaggi tra est e ovest, fu il giornalista Riccardo Ehrman, fiorentino, 78 anni, figlio di immigrati ebrei polacchi giunti in Italia negli anni ‘20.

 Schabowski disse più tardi (e lo scrisse anche in un libro) che la mia era stata una domanda «estremamente provocatoria» che «l’aveva spinto e costretto» ad annunciare le nuove «Regole di viaggio».

 «Queste, in tedesco «Reiseregelungen», equivalevano in realtà all’annuncio della caduta del Muro. In sostanza, il portavoce aveva detto che qualsiasi cittadino tedesco orientale da quel momento poteva varcare i confini della Rdt, compresi – si noti bene – quelli di Berlino ovest, per poter andare all’estero. Unico requisito: un documento d’identità valido. Un annuncio rivoluzionario, fantastico: era cambiato il mondo, ma quasi nessuno al momento lo comprese. Il fatto incredibilmente sorprendente fu che, dopo le parole di Schabowski, solo due persone – oltre a me Eberhard Grashof, portavoce della rappresentanza di Bonn a Berlino est -, si precipitarono fuori dalla sala per telefonare. Questo fece sì che l’Ansa ebbe un vantaggio incredibile, oltre 31 minuti, sulle altre agenzie che con molta cautela continuarono a lungo a parlare di «facilitazioni di viaggio» e poi di «apertura delle frontiere», ma non – come l’Ansa – di «crollo del Muro».  

Willy Brandt (che incontrai poco dopo la caduta) abbracciandomi con entusiastico calore, mi disse: «Kleine Frage Enorme Wirkung» (piccola domanda, enorme effetto).