Chávez o Capriles, il Venezuela vota nell’incertezza

Da limes

I due Paesi modello della virata a sinistra del continente latino-americano, il Venezuela nella variante radicale e il Brasile in quella moderata, vanno entrambi alle urne il 7 ottobre.

Data la posta in gioco, le elezioni presidenziali in Venezuela, dove il candidato Henrique Capriles Radonski tenta la grande spallata a Hugo Chávez, sono più importanti delle amministrative brasiliane (cui verrà comunque dedicato un articolo nel corso della settimana).

In Venezuela l’incertezza è massima.

La tensione è salita dopo che tre antichavisti sono stati uccisi il 29 settembre a Barinas – capoluogo dello Stato natale di Chávez e roccafortarte chavista, dove però Capriles era riuscito a radunare in un comizio 50 mila persone. Sembra sia stata proprio una marcia degli antichavisti in un quartiere tradizonalmente chavista ad aver provocato una reazione, ma il quadro resta confuso: gli antichavisti hanno detto che gli assassini erano a bordo di veicoli targati municipio e società petrolifera di Stato Pdvsa. Il governo ha condannato gli atti. Una grande manifestazione a sostegno di Capriles si è svolta a Caracas il 30 settembre, dove però si dibatte sulle cifre dei partecipanti, variamente stimati tra i 100 mila e il milione.

Ma è guerra soprattutto di sondaggi. Stando alle ultimissime rilevazioni, su undici società demoscopiche sei danno Chávez in largo vantaggio, con percentuali comprese tra il 50 e il 57,2%, contro il 30-37,2% di Capriles. Quattro danno invece in testa Capriles, con punteggi tra il 48,1 e il 50,64%, contro il 43,9-47,03% di Chávez. L’undicesima dà pure Chávez in testa, ma di misura: 49,7 a 47,7%. Ciò ha portato a roventi accuse di parzialità da ambo le parti, tra società tacciate di essere al soldo del governo e società indicate come vicine all’opposizione. Ma i tecnici avvertono che, al di là di deformazioni che certamente ci sono, nel Venezuela di oggi fare il rilevatore è un mestiere molto difficile, sia per la marcata polarizzazione, sia per il fatto che il governo è accusato di intimidire gli elettori con minacce di rappresaglie economiche, per cui soprattutto i dipendenti pubblici o coloro che contano sulla benevolenza dello Stato tenderebbero a tenere nascosta la propria vera opinione. Già nel 2004 i cittadini che firmarono per la destituzione di Chávez al referendum revocatorio si trovarono poi schedati e sottoposti a varie rappresaglie.

La maggior parte dei sondaggi rivela anche un’alta percentuale di indecisi, tale da poter rovesciare il risultato all’ultimo momento: almeno il 14%, secondo l’istituto considerato più favorevole a Chávez. Il problema è che il presidente in carica ha ormai chiaramente mostrato i suoi limiti, ma l’opposizione sembra unita sempre più da ciò che non vuole piuttosto che da ciò che vuole. Ed è altrettanto chiaro che il giovane Capriles [sotto, nella foto Ansa] non ha il carisma del suo avversario.

Ciò non vuol dire che Capriles non abbia preso sul serio il proprio compito, girando vorticosamente per il paese con una campagna casa per casa che non ha avuto paura di affacciarsi nelle aree chaviste più intransigenti. Il fatto che ci sia riuscito rappresenta già, in qualche modo, un successo. Pur nella loro diversità radicale, tutti i sondaggi mostrano che durante la campagna elettorale i suoi consensi sono cresciuti. D’altra parte, anche Chávez alla fine ha conseguito un successo personale: ha fatto dimenticare la sua malattia.

“Non sarò mai più un cavallo sfrenato, ma un bufalo”, aveva ammesso. Ma tornando a lanciare i suoi pesanti insulti e a fare del sarcasmo, parlando per ore anche se meno a lungo del passato, piangendo, cantando rancheras messicane alla chitarra e diffondendo manifesti in cui ostentava un look giovanile, ha convinto alla fine molti di essere guarito. Anche se la verità sulle sue attuali condizioni di salute resta un segreto gelosamente custodito. Prima dei tre morti di Barinas, sebbene a un certo punto fossero volati anche dei pugni, si era trattato di una campagna meno tesa che in passato, anche perché tra i due candidati aveva iniziato a realizzarsi una curiosa convergenza verso il centro.

Capriles ha dedicato gran parte dei suoi giri elettorali agli elettori più poveri, ha ribadito che il suo modello è Lula e ha detto che manterrà le misiones assistenziali del regime – pur depurandole della loro funzione di propaganda per il partito al potere e tagliando anche i rifornimenti agevolati di petrolio ai “clientes” di Chávez all’estero.

Chávez ha cercato di rivolgersi al ceto medio e di rassicurare gli investitori internazionali, anche allentando i severi controlli sull’accesso alla valuta e vendendo oro per immettere liquidità nel sistema. Dal novembre del 2011 ha mandato 3200 militari a coadiuvare la polizia, per venire incontro al crescente malcontento verso una delinquenza sempre più pericolosa. Tra gli spot di fine campagna elettorale ci sono stati l’annuncio di importanti joint ventures con indiani, cinesi e vietnamiti, il lancio di un satellite e l'inizio, il 5 ottobre, del processo di pace in Colombia con mediazione venezuelana. Chávez [nella foto Ansa] ha anche garantito che Obama voterebbe per lui e lui per Obama.

Questa convergenza non ha impedito ai contendenti di continuare a giocare la carta della paura. Chávez in particolare ha detto che Capriles stava preparando sotto banco un durissimo piano di ristrutturazione in chiave ultraliberista e ha paventato che una vittoria dell’opposizione porterebbe il Venezuela alla guerra civile. A sua volta, però, il presidente è stato accusato di preparare una mobilitazione dei suoi miliziani per rispondere al rovescio delle urne, in caso di sconfitta, con un colpo di Stato. Capriles è stato danneggiato dallo scivolone di un deputato dell’opposizione sorpreso a prendere mazzette, deputato con cui ha subito troncato ogni rapporto.

Chávez ha scontato però una concentrazione di disastri veramente micidiale, che sembra aver corroborato le accuse dell’opposizione sul pessimo funzionamento di un apparato amministrativo che fa andare in pezzi le infrastrutture: i 26 morti della strage nel carcere di Yare; la rivolta sindacale di Ciudad Guayana; la caduta del ponte di Cúpira; le inondazioni. Senza contare il disastro della raffineria di Amuay, che è esplosa provocando una quarantina di morti e un centinaio di feriti, oltre al danneggiamento di 1600 abitazioni.

Secondo le denunce dei sindacati, tutto questo è avvenuto perché nel 2012 non era stata fatta alcuna manutenzione e molti tecnici erano stati distaccati come truppe cammellate per i comizi del presidente.

Chávez ha previsto una vittoria, ma ha ammesso che “non sarà comoda”, chiedendo con insistenza ai suoi ammiratori di andare a votare in massa per evitare sorprese. “Non possiamo cantare vittoria, dobbiamo raddoppiare il passo”.

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Maurizio Stefanini, giornalista professionista e saggista. Free lance, collabora con Il Foglio, Libero, Liberal, L’Occidentale, Limes, Longitude, Theorema, Risk, Agi Energia. Ha redatto il capitolo sull’Emisfero Occidentale in Nomos & Kaos Rapporto Nomisma 2010-2011 sulle prospettive economico-strategiche. Specialista in politica comparata, processi di transizione alla democrazia, problemi del Terzo Mondo, in particolare dell’America Latina, e rievocazioni storiche.

(2/10/2012)